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martedì 23 marzo 2010

"Il Piacere: Gabriele D'Annunzio come Andrea Sperelli"


E credere in te soltanto, giurare in te soltanto, riporre in te soltanto la mia fede, la mia forza, il mio orgoglio, tutto il mio mondo, tutto quel che sogno, e tutto quel che spero...” ( Il Piacere, Gabriele D'Annunzio)

Nel pomeriggio di un San Silvestro soleggiato come una domenica di maggio in cui l’anno muore assai dolcemente, nelle stanze del palazzo Zuccari nel cuore della Roma barocca, Andrea Sperelli attende l’amante, Elena Muti, che torna a lui dopo due anni di lontananza. Nell’attesa, nell’atmosfera della stanza greve di raffinati arredi, calda dal ginepro che arde profumato nel caminetto , Andrea ricorda il giorno del gran commiato, quando Elena lo aveva salutato per l’ultima volta, prima di avviarsi alle nozze con un gentiluomo inglese. Il

Giovane la rivede nei gesti leggiadri e sensuali, e freme nell’attesa, e i ricordi si accumulano, finchè Elena giunge non per riaccendere l’amore di un tempo, ma per sancirne la fine irrimediabile. La relazione fra Andrea Sperelli ed Elena Muti si era iniziata nei salotti mondani della Roma umbertina, fra una festa e un convegno alle corse, un ballo e una passeggiata in carrozza. Andrea è l’ultimo rampollo degli Sperelli Fieschi d’Urgenta, una famiglia di antica nobiltà, nella quale l’urbanità, l’atticismo, la predilezione per gli studi insoliti, la curiosità estetica, la mania archeologica, la galanteria raffinata, erano qualità ereditarie; ed Andrea proseguiva tali tradizioni. Tutto impregnato di arte, educato dal padre a fare la propria vita come si fa un’opera d’arte, avvezzo alla menzogna verso se stesso al punto di non poter mai riprendere su se stesso il libero dominio, avido d’amore e di piacere, incapace di distinguere l’ideale che lo muove, nel tumulto delle inclinazioni contraddittorie, in lui il senso estetico aveva sostituito il senso morale. Aveva perciò atteso a lungo l’incontro con la “sua” donna, fino a quando, alla mensa della cugina, marchesa d’Atleta, aveva incontrato Elena, duchessa di Scerni, la cui eleganza di gesti e linee, unita alla vivace mobilità del volto e dell’ingegno, lo colpiscono con un’immediata eccitazione sensuale. Tutta la durata del pranzo è fra i due giovani, che si sono guardati e compresi, un gioco cosciente di offerte ripulse che risaltano nel coro della conversazione mondana e brillante degli altri commensali. Nei giorni seguenti Elena e Andrea avevano avuto altre occasioni di incontri non conclusivi e la resistenza appassionata di lei, i suoi “forse” alle insistenze di lui, avevano condotto il giovane a chiudere il suo spirito in un cerchio in cui turbinavano confusamente tutti i fantasmi delle sensazioni, Finchè Elena, ammalata, lo aveva accolto nell’ombra rossa dei damaschi della sua camera, cedendo a lui nell’aria dolce degli effluvi del cloroformio. Il loro amore era così divampato in una ricerca senza tregua del Sommo, dell’Insuperabile, dell’Inarrivabile, dilagando per tutta Roma, che per essi s’illuminava di una luce novella. Poi la fine, il distacco, il grande commiato, e ora il ritorno, preludio della definitiva separazione. Abbandonato da Elena, Andrea cerca di sostituire all’unica passione per lei la più intensa attività mondana, in un agonismo

di piacere che lo conduce a tutte le avventure, e fino al duello con un amico, in seguito al quale si rifugia ferito mortalmente nella villa della cugina marchesa d’Atleta. Qui, dopo una specie di dura e lenta agonia, dalla quale rinasce con un altro corpo e un altro spirito, come un uomo nuovo, senza più quella frenesia di quegli immondi e rapidi amori, nei quali si era involto, dopo una parentesi di una lunga riflessione anteriore, riconosce, o crede di conoscere nell’Arte la sua vera Amante fedele, sempre giovane, immortale, ad essa si dedica con entusiasmo improvviso, finchè una nuova presenza femminile giunge a turbarlo. E’ ancora una volta amica della cugina, Donna Maria Ferres y Capdevilla, moglie del ministro del Guatemala, e Andrea è subito attratto dal fascino nobilmente spirituale di lei, così diverso da quello di Elena, eppure capace di rievocare sottilmente la più intensa seduzione della prima amante. E’ questa degli amori di Andrea e Maria, la seconda parte del romanzo, e sono amori diversi, condotti per tutta una lunga serie di pagine sul filo dell’analisi, spesso fallita, della spiritualità di Maria turbata dalla passione per Andrea, che sente nascere irrimediabilmente, ma alla quale riesce a resistere fino alla sua partenza dalla villa. Andrea e Maria si incontrano nuovamente a Roma, dove il giovane ritorna al Piacere, ed in questa rinnovata condizione conquista Maria ad un’ amore nel quale a poco a poco la nuova amante viene ad essere soltanto il tramite per la tormentata memoria di Andrea, nuovamente dominato dal ricordo di Elena. In Maria è Elena che egli ama, e quando questa mostruosa commedia diviene vizio, egli non è più capace di distinguere e quindi di volere, e trascina così il suo amore per l’una nell’amore per l’altra, finchè il nome di Elena sfuggitogli dalle labbra e udito da Maria, pone fine alla storia.

Con il suo primo romanzo D’Annunzio, cambia la tecnica compositiva, ed il protagonista diviene l’alter ego o “ la maschera” dell’autore alla cui esperienza biografica e culturale, risale la sua visione della vita. Nel romanzo colpisce molto la mancanza di una trama, presentata per giunta in una sequenza temporale estremamente discontinua: per più della metà del libro la lettura segue un lunghissimo movimento a ritroso, visto che il racconto si esaurisce nel ricordo dell’unico vero “fatto” del romanzo: la duplice relazione del protagonista con Elena Muti e Maria Ferres, la prima nel segno del desiderio sensuale, la seconda sotto l’astro di un amore finalmente puro, sublimato dall’anelito di una “nuova vita”. Al posto dell’intreccio lineare dei naturalisti è subentrata una diverse idea di racconto, come collezione di istanti preziosi e sensazioni fulminee, avventura di una soggettività raffinata che si osserva e si analizza nel suo rapporto sempre mutevole con le cose. E questa aderenza alla fluidità dell’essere ben si attaglia al “dilettantismo” camaleontico e sofisticato del protagonista Andrea Sperelli, l’ideale del tipo di giovane signore italiano nel XIX secolo che si compiace e si perde nei labirinti della mondanità più elegante e libertina, consacrandosi a pari tempo al “culto della Bellezza”. La stessa prevalenza del momento descrittivo, qui come negli altri romanzi dannunziani, ha la sua ragione di fondo nella tendenza a sperimentare la vita come un seguito non di azioni, ma di situazioni e di atmosfere; e il suo luogo di elezione, una Roma costantemente sublimata dalla presenza dell’arte, si rivela non tanto uno scenario quanto piuttosto lo spazio fantastico dell’interiorità, per assumere valore di simbolo. Ma la logica simbolistica del romanzo lirico convive poi nel Piacere con un eros complicato e perverso, attratto dal gusto della “profanazione” e della contaminazione e con il desiderio sempre più irresistibile di possedere Elena attraverso Maria, di fondere in sé amore pagano e amore cristiano, come suggeriscono i nomi palesemente emblematici delle due donne. Sul piano dell’azione interiore, il destino incrociato di Elena e di Maria si prefigura a poco a poco nella narrazione attraverso un tessuto segreto di rimandi, simmetrie, corrispondenze, “associazioni” verbali.


STEFANIA RAGAGLIA.




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